SENZA ALI
Monologo teatrale con Carlo Pastori.
Testo di Marta Martinelli e Carlo Pastori.
Consulenza artistica di Sara Quadri, bozzetti e scene di Gio Pastori.
Redazione Paolo Covassi.
Sartoria e costumi Anna Colombo.
Regia di Marta Martinelli.
PER INFO E PRENOTAZIONE SPETTACOLO: [email protected] - 347 4235031- carlopastori-it.webnode.it/l/senzaali-nuova-produzione-teatrale-2024-testo-di-carlo-pastori-marta-martinelli-monologo/
"C'è chi meglio degli altri realizza la sua vita./E' tutto in ordine dentro e attorno a lui./Per ogni cosa ha metodi e risposte. (...)/A volte un pò lo invidio/-per fortuna mi passa."
(C'E' CHI-Wislawa Szymborska)
Marzo 2024
LA POSTA IN GIOCO
Carlo Pastori mi chiede una nuova regia. Ho già diretto Carlo in "A.U.F" e in "Giovanni un Bosco di 200 anni".
Questa volta la richiesta si approfondisce: Carlo mi chiede di scrivere insieme a lui e quindi a quattro mani un testo a partire da una sua idea che trovo subito interessante. Si tratta di narrare le alterne vicende di un personaggio di nome Angelo, professione angelo custode, al quale vengono affidati dalla pietà celeste (P.C.) 6 artisti da illuminare, custodire, reggere e governare. La missione dello spettacolo è "indicare", mostrare al pubblico autori anche poco conosciuti che valga la pena poi approfondire personalmente: un invito alla scoperta per lo spettatore.
Carlo ha scritto diverse pagine, nelle quali mi inserisco e comincio ad immaginare e soprattutto a studiare fittamente non solo le vite e le opere dei 6 artisti da custodire ma tanto tanto...tanto altro.
PARTO DALLA FINE
La prima immagine che si è creata nella mia mente è quella del finale: lo spettacolo dovrà terminare lasciando dei "segni". Segni, tratti, impronte, ferite che si dovranno imprimere non solo a livello scenografico ma anche a livello umano, nelle persone del gentile pubblico. Seguo questa intuizione e subito voglio Giovanni Pastori, figlio di Carlo, ma soprattutto grande artista, illustratore, genio gentile e visionario: https://giopastori.com
Giovanni accetta l'incarico: sarà lui a concretizzare la mia idea di "segno" mediante la scenografia e l'allestimento delle scene, nei loro colori, forme e strampalate intuizioni. Grazie alla sua maieutica educata e discreta quel finale prende forma e segno, si precisa, si concretizza nella materia del palcoscenico. E' bravo il Giopastori, ci capiamo senza quasi il bisogno di spiegare...già...spiegare. In questo spettacolo non voglio spiegare niente, desidero che tutto accada.
La squadra di lavoro si completa con il lavoro della professoressa Sara Quadri -la signorina Q-: insegnante di arte e donna sensibile oltre che intelligente e coltissima, fornisce a tutti noi spunti, commenti e naturalmente materiale di lavoro in qualità di consulente artistica. E poi mi fa anche da mamma! E' un angelo lei: consola, regge e corregge la Signorina Q, portando una bella dose di dolcezza e gentilezza che spesso noi maschiacci ci dimentichiamo mentre lavoriamo febbrilmente.
A completare il team di lavoro il prezioso occhio redazionale di Paolo Covassi, già nostro compagno di lavoro in A.U.F.! Squadra che vince non si cambia!
TU NO DICE, TU FA.
Uno dei miei fondamentali maestri della pedagogia teatrale mi ha insegnato che il palco non mente: sulla scena non si spiega nulla, si fa! Da sempre rifuggo gli spettacoli a leggìo, a meno che quest'ultimo non sia usato scenicamente, è chiaro. Mi sono allontanata da un certo tipo di teatro che definisco "didascalico": che spiega tutto allo spettatore, che offre informazioni e certezze, che riempie vasi e crepe lasciando lo spettatore con la pancia piena, strabordante. Mi sono sinceramente stufata di un certo tipo di fare teatro che racconta quello che lo spettatore POTREBBE immaginare, CHE TOGLIE allo spettatore il gusto dell'ignoto, la possibilità dell'errore, la creatività dell'incertezza.
Non voglio scrivere e dirigere un testo didascalico: già. Che bello. A parole. E come "lo spiego" Lucio Fontana e la sua poetica spazialista se non voglio dare informazioni? Come la presento la Poeta, Alda Merini, come lo descrivo l'immenso atto creativo di Yves Klein senza citare numeri, titoli, dati...?
Non lo so. E mi aggrappo a questo non sapere come ad un'ancora di salvezza nel mare immenso che sto iniziando ad esplorare. Non lo sapevo prima ma quest'ancora di incertezza mi avrebbe salvata!
E anche Carlo avrebbe dovuto lasciarsi naufragare, o almeno provarci. E ci è riuscito.
L'ANGELO E LA MUSA, IL SACRO E IL PROFANO
La materia informe che stiamo trattando ha bisogno che io trovi una voce nuova per essere detta.
Garcia Lorca, nella sua conferenza "Gioco e teoria del Duende" esprime bene questa linea che vado cercando.
Il duende è quel linguaggio, proprio di certe forme artistiche quali il flamenco, la corrida ad esempio, che non scaturisce nè dall'angelo nè dalla musa ma, dice Lorca, "dalla pianta dei piedi". Tra l'angelo che abbaglia e sta in alto e la musa che insegna e sta in basso si colloca il duende, che è propriamente una lotta tra queste due dinamiche (molto umane) da dove può scaturire un linguaggio "dai suoni neri", evocativo, non didascalico ma costituito da una profondità che coniuga alto e basso. A patto che si accetti il combattimento, è chiaro.
Allego il documento della conferenza di Lorca, che reputo essere uno strumento utile a vari livelli:
LA POSTA IN GIOCO
Carlo Pastori mi chiede una nuova regia. Ho già diretto Carlo in "A.U.F" e in "Giovanni un Bosco di 200 anni".
Questa volta la richiesta si approfondisce: Carlo mi chiede di scrivere insieme a lui e quindi a quattro mani un testo a partire da una sua idea che trovo subito interessante. Si tratta di narrare le alterne vicende di un personaggio di nome Angelo, professione angelo custode, al quale vengono affidati dalla pietà celeste (P.C.) 6 artisti da illuminare, custodire, reggere e governare. La missione dello spettacolo è "indicare", mostrare al pubblico autori anche poco conosciuti che valga la pena poi approfondire personalmente: un invito alla scoperta per lo spettatore.
Carlo ha scritto diverse pagine, nelle quali mi inserisco e comincio ad immaginare e soprattutto a studiare fittamente non solo le vite e le opere dei 6 artisti da custodire ma tanto tanto...tanto altro.
PARTO DALLA FINE
La prima immagine che si è creata nella mia mente è quella del finale: lo spettacolo dovrà terminare lasciando dei "segni". Segni, tratti, impronte, ferite che si dovranno imprimere non solo a livello scenografico ma anche a livello umano, nelle persone del gentile pubblico. Seguo questa intuizione e subito voglio Giovanni Pastori, figlio di Carlo, ma soprattutto grande artista, illustratore, genio gentile e visionario: https://giopastori.com
Giovanni accetta l'incarico: sarà lui a concretizzare la mia idea di "segno" mediante la scenografia e l'allestimento delle scene, nei loro colori, forme e strampalate intuizioni. Grazie alla sua maieutica educata e discreta quel finale prende forma e segno, si precisa, si concretizza nella materia del palcoscenico. E' bravo il Giopastori, ci capiamo senza quasi il bisogno di spiegare...già...spiegare. In questo spettacolo non voglio spiegare niente, desidero che tutto accada.
La squadra di lavoro si completa con il lavoro della professoressa Sara Quadri -la signorina Q-: insegnante di arte e donna sensibile oltre che intelligente e coltissima, fornisce a tutti noi spunti, commenti e naturalmente materiale di lavoro in qualità di consulente artistica. E poi mi fa anche da mamma! E' un angelo lei: consola, regge e corregge la Signorina Q, portando una bella dose di dolcezza e gentilezza che spesso noi maschiacci ci dimentichiamo mentre lavoriamo febbrilmente.
A completare il team di lavoro il prezioso occhio redazionale di Paolo Covassi, già nostro compagno di lavoro in A.U.F.! Squadra che vince non si cambia!
TU NO DICE, TU FA.
Uno dei miei fondamentali maestri della pedagogia teatrale mi ha insegnato che il palco non mente: sulla scena non si spiega nulla, si fa! Da sempre rifuggo gli spettacoli a leggìo, a meno che quest'ultimo non sia usato scenicamente, è chiaro. Mi sono allontanata da un certo tipo di teatro che definisco "didascalico": che spiega tutto allo spettatore, che offre informazioni e certezze, che riempie vasi e crepe lasciando lo spettatore con la pancia piena, strabordante. Mi sono sinceramente stufata di un certo tipo di fare teatro che racconta quello che lo spettatore POTREBBE immaginare, CHE TOGLIE allo spettatore il gusto dell'ignoto, la possibilità dell'errore, la creatività dell'incertezza.
Non voglio scrivere e dirigere un testo didascalico: già. Che bello. A parole. E come "lo spiego" Lucio Fontana e la sua poetica spazialista se non voglio dare informazioni? Come la presento la Poeta, Alda Merini, come lo descrivo l'immenso atto creativo di Yves Klein senza citare numeri, titoli, dati...?
Non lo so. E mi aggrappo a questo non sapere come ad un'ancora di salvezza nel mare immenso che sto iniziando ad esplorare. Non lo sapevo prima ma quest'ancora di incertezza mi avrebbe salvata!
E anche Carlo avrebbe dovuto lasciarsi naufragare, o almeno provarci. E ci è riuscito.
L'ANGELO E LA MUSA, IL SACRO E IL PROFANO
La materia informe che stiamo trattando ha bisogno che io trovi una voce nuova per essere detta.
Garcia Lorca, nella sua conferenza "Gioco e teoria del Duende" esprime bene questa linea che vado cercando.
Il duende è quel linguaggio, proprio di certe forme artistiche quali il flamenco, la corrida ad esempio, che non scaturisce nè dall'angelo nè dalla musa ma, dice Lorca, "dalla pianta dei piedi". Tra l'angelo che abbaglia e sta in alto e la musa che insegna e sta in basso si colloca il duende, che è propriamente una lotta tra queste due dinamiche (molto umane) da dove può scaturire un linguaggio "dai suoni neri", evocativo, non didascalico ma costituito da una profondità che coniuga alto e basso. A patto che si accetti il combattimento, è chiaro.
Allego il documento della conferenza di Lorca, che reputo essere uno strumento utile a vari livelli:
teoria_e_gioco_del_duende.pdf |
QUALCOSA TORNA
Leggo e rileggo la conferenza di Lorca e la paragono con gli autori che dobbiamo trattare: mi accorgo che ciascuno di loro ha ingaggiato la stessa lotta che è chiesta a me. L'abbandono di forme conosciute per far emergere altro.
Come Alda Merini, che nella sua poesia "Una piccola ape furibonda" non teme di lottare tra l'alto e il basso, non si sottrae al combattimento, evidentissimo nella poetica ad esempio di "Mistica d'amore", raccolta in cui svetta per altezza il suo "Magnificat".
Di seguito il testo indegnamente interpretato dalla sottoscritta ma utile per chi legge se volesse concedersi un approfondimento:
Leggo e rileggo la conferenza di Lorca e la paragono con gli autori che dobbiamo trattare: mi accorgo che ciascuno di loro ha ingaggiato la stessa lotta che è chiesta a me. L'abbandono di forme conosciute per far emergere altro.
Come Alda Merini, che nella sua poesia "Una piccola ape furibonda" non teme di lottare tra l'alto e il basso, non si sottrae al combattimento, evidentissimo nella poetica ad esempio di "Mistica d'amore", raccolta in cui svetta per altezza il suo "Magnificat".
Di seguito il testo indegnamente interpretato dalla sottoscritta ma utile per chi legge se volesse concedersi un approfondimento:
UNA PICCOLA APE FURIBONDA.mp3 |
Consiglio a tutti la visione dello spettacolo "Magnificat" per la regia di Paolo Bignamini e interpretato da Arianna Scommegna. Lo spettacolo non gira molto, a causa dell'insipienza del nostro sistema teatrale.
Ecco il link per visionare un estratto dello spettacolo: https://www.youtube.com/watch?v=hPJEuMrfNmM
Alto e basso si mischiano anche nella poetica degli altri custoditi di cui tratteremo nello spettacolo: Enzo Jannacci, cantautore "inadatto al canto" -come fu definito dopo un provino RAI- che nelle sue canzoni mescola il barbone e la luna. E che dire di Jaco Pastorius, che pretende di suonare un nuovo tipo di basso da lui stesso inventato, che scrive e fa musica con il basso sì ma ...da orchestra! E gli altri 3 non sono da meno.
Arriva finalmente in me la domanda: perchè fare così tanta fatica? Perchè ingaggiare una lotta? Non basta quello che già c'è? Perchè scrivere, dipingere, comporre in maniera diversa?
E io ne ho bisogno? E poi: se io ne ho bisogno, qualcun'altro reputerà questa lotta utile?
Di certo comincia ad accadere qualcosa: questi personaggi, che di per sé sono diversissimi tra loro, hanno tutti in comune questa tensione, la lotta al superamento "trigonometrico" delle dicotomie tra bianco e nero, giusto e sbagliato, sporco e pulito. E nel loro lavoro artistico hanno osato, ognuno a suo modo, in alcuni casi pagando a caro prezzo "il folle volo". (Rif. Dante, La Commedia, Canto 26, Inferno).
Ecco il link per visionare un estratto dello spettacolo: https://www.youtube.com/watch?v=hPJEuMrfNmM
Alto e basso si mischiano anche nella poetica degli altri custoditi di cui tratteremo nello spettacolo: Enzo Jannacci, cantautore "inadatto al canto" -come fu definito dopo un provino RAI- che nelle sue canzoni mescola il barbone e la luna. E che dire di Jaco Pastorius, che pretende di suonare un nuovo tipo di basso da lui stesso inventato, che scrive e fa musica con il basso sì ma ...da orchestra! E gli altri 3 non sono da meno.
Arriva finalmente in me la domanda: perchè fare così tanta fatica? Perchè ingaggiare una lotta? Non basta quello che già c'è? Perchè scrivere, dipingere, comporre in maniera diversa?
E io ne ho bisogno? E poi: se io ne ho bisogno, qualcun'altro reputerà questa lotta utile?
Di certo comincia ad accadere qualcosa: questi personaggi, che di per sé sono diversissimi tra loro, hanno tutti in comune questa tensione, la lotta al superamento "trigonometrico" delle dicotomie tra bianco e nero, giusto e sbagliato, sporco e pulito. E nel loro lavoro artistico hanno osato, ognuno a suo modo, in alcuni casi pagando a caro prezzo "il folle volo". (Rif. Dante, La Commedia, Canto 26, Inferno).
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MEMENTO AUDERE/ARDERE SEMPER
Osare, spingersi oltre il conosciuto, al di là del contorno visibile delle cose per vedere che cosa c'è.
Il testo di partenza scritto da Carlo narra delle vicende di un angelo (di nome Angelo) inadatto al volo e incapace di osare, di assumere compiti anche prestigiosi che gli vengono proposti dalla P.C. (Pietà Celeste) perché non se ne sente all'altezza. La sua condizione di "inadatto al volo" fa di lui quella che -ahimè nella modernità- è la narrazione della disabilità: il limite, che ci viene consegnato nel pacchetto nascita, comprende anche questo. "Inadatto al volo", come Enzo "inadatto al canto".
Ma cosa succederebbe se i criteri fossero diversi? E se i criteri fossero altri?
E chi stabilisce la definizione di limite? In quale recinto ci si deve collocare per "essere normali" -o come si dice oggi "normodotati"?
Questa è la poesia che Alda Merini dedicò a Franco Basaglia:
“Il vento, la bora, le navi che vanno via
il sogno di questa notte
e tu
l’eterno soccorritore
che da dietro le piante onnivore
guardavi in età giovanile
i nostri baci assurdi
alle vecchie cortecce della vita.
Come eravamo innamorati, noi,
laggiù nei manicomi
quando speravamo un giorno
di tornare a fiorire
ma la cosa più inaudita, credi,
è stato quando abbiamo scoperto
che non eravamo mai stati malati”.
Ma come non siete malati? Siete pazzi da legare! Siete chiusi dentro!
Già: le sbarre che delimitano e dividono il sano dal folle, per consentire a tutti una sana vita nevrotica!
"Da vicino nessuno è normale" è una celebre affermazione di Franco Basaglia, medico che rivoluzionò i manicomi italiani: Alda lo conobbe durante i suoi ricoveri e capì profondamente il suo folle volo: aprire i manicomi chiudendoli! Contraddizione in termini!!!!
Franco Basaglia aveva ben capito che il limite (nel caso del malato psichiatrico la malattia mentale) non definisce il corpo: occorre "sospendere il giudizio". Tra gli anni '70 e '80 la sua intuizione diventerà una legge: LEGGE 180/1978, detta "Legge Basaglia". I manicomi non vanno chiusi, ma aperti! I soggetti malati al loro interno hanno bisogno del contatto umano con i propri cari, con l'esterno per compiere il loro viaggio di guarigione. "L'uomo malato è considerato da lui soggetto attivo per la propria liberazione (...) La sua proposta rivoluzionaria della psichiatria e della cura per la salute mentale è difficile poiché l’innovazione psichiatrica non dipende dalla tecnica come altre scienze applicate ma dalla scommessa sull’uomo stesso."
CIT: https://tgposte.poste.it/2024/02/25/basaglia-eterno-soccorritore-merini/
La scommessa sull'uomo stesso: ci sono dei limiti, io ne sono pieno, ne sono definito, ma... se fosse proprio quella la pista di decollo per un nuovo volo....magari anche senza ali? Si tratta di osare: scommettere sull'uomo cioè sul limite stesso.
SARA' UN CASO? IO NON CREDO!
Mentre queste e altre domande si affollano in noi cominciano ad accadere strani fatti, che emergono come dati di realtà nel lavoro ma anche come "strane coincidenze" che iniziano a mostrarci dei legami tra questi 6 artisti.
E le coincidenze a volte sono "inquietanti": Carlo lavora su un vecchio comodino di scena, per prepararlo per l'allestimento scenografico. Apre lo stipetto del comodino e toglie la carta che ricopre internamente lo sportello: ed ecco emergere da sotto la carta un vecchio disegno di...una finestra. Poche settimane prima avevamo impostato la prima scena dello spettacolo, in cui protagonista è proprio una finestra.
Le cose accadute sono talmente tante e inspiegabili che non resta che arrendersi ad esse, come si fa davanti ad un accadimento "eccedente": studiando le opere e le vite degli artisti leggiamo di come Yves Klein, devoto a Santa Rita da Cascia, spesso si soffermava a meditare alla finestra della sua palestra di judo. 30 anni dopo la sua morte in quel punto è stata costruita una cappella per Santa Rita e la sia statua si trova proprio di fronte alla finestra. Per il legame tra Yves e Santa Rita si veda:
http://piantatastorta.altervista.org/lex-voto-per-santa-rita-da-cascia-di-yves-klein/
Leggiamo di come Lucio Fontana comprò nel 1957 una tela monocroma blu di Yves Klein, diventando uno dei suoi più grandi collezionisti.
Apprendiamo che Yves Klein è cintura nera 6°DAN di Karate e poi Sensei (maestro di karate), come lo fu Enzo Jannacci (che poi divenne anche judoka, ma partì dalla pratica del karate).
E facendo una lezione di judo (nella quale vengo schienata da un 6oenne gracile e più basso di me) apprendo che la parola JU-DO significa "via della cedevolezza" e che la parola "DO" in oriente equivale a DUENDE in Occidente.
Apprendo anche in quell'occasione che devo studiare più a fondo il Judo, per imparare anche io la cedevolezza: perchè come dice il Piccolo Principe, "quando un mistero è così sovraccarico, non si osa disubbidire".
L'elenco delle "coincidenze" potrebbe continuare a lungo: ma da adesso in avanti è Jung a venirci incontro con uno studio proprio su questo aspetto dell'esperienza di vita di ciascuno, a cui cose si sovrappongono cose con una precisione millimetrica secondo nessi ACAUSALI: si chiamano "Sincronicità". E le sincronicità sono parte della prassi di cura della malattia mentale. Interessante...
Osare, spingersi oltre il conosciuto, al di là del contorno visibile delle cose per vedere che cosa c'è.
Il testo di partenza scritto da Carlo narra delle vicende di un angelo (di nome Angelo) inadatto al volo e incapace di osare, di assumere compiti anche prestigiosi che gli vengono proposti dalla P.C. (Pietà Celeste) perché non se ne sente all'altezza. La sua condizione di "inadatto al volo" fa di lui quella che -ahimè nella modernità- è la narrazione della disabilità: il limite, che ci viene consegnato nel pacchetto nascita, comprende anche questo. "Inadatto al volo", come Enzo "inadatto al canto".
Ma cosa succederebbe se i criteri fossero diversi? E se i criteri fossero altri?
E chi stabilisce la definizione di limite? In quale recinto ci si deve collocare per "essere normali" -o come si dice oggi "normodotati"?
Questa è la poesia che Alda Merini dedicò a Franco Basaglia:
“Il vento, la bora, le navi che vanno via
il sogno di questa notte
e tu
l’eterno soccorritore
che da dietro le piante onnivore
guardavi in età giovanile
i nostri baci assurdi
alle vecchie cortecce della vita.
Come eravamo innamorati, noi,
laggiù nei manicomi
quando speravamo un giorno
di tornare a fiorire
ma la cosa più inaudita, credi,
è stato quando abbiamo scoperto
che non eravamo mai stati malati”.
Ma come non siete malati? Siete pazzi da legare! Siete chiusi dentro!
Già: le sbarre che delimitano e dividono il sano dal folle, per consentire a tutti una sana vita nevrotica!
"Da vicino nessuno è normale" è una celebre affermazione di Franco Basaglia, medico che rivoluzionò i manicomi italiani: Alda lo conobbe durante i suoi ricoveri e capì profondamente il suo folle volo: aprire i manicomi chiudendoli! Contraddizione in termini!!!!
Franco Basaglia aveva ben capito che il limite (nel caso del malato psichiatrico la malattia mentale) non definisce il corpo: occorre "sospendere il giudizio". Tra gli anni '70 e '80 la sua intuizione diventerà una legge: LEGGE 180/1978, detta "Legge Basaglia". I manicomi non vanno chiusi, ma aperti! I soggetti malati al loro interno hanno bisogno del contatto umano con i propri cari, con l'esterno per compiere il loro viaggio di guarigione. "L'uomo malato è considerato da lui soggetto attivo per la propria liberazione (...) La sua proposta rivoluzionaria della psichiatria e della cura per la salute mentale è difficile poiché l’innovazione psichiatrica non dipende dalla tecnica come altre scienze applicate ma dalla scommessa sull’uomo stesso."
CIT: https://tgposte.poste.it/2024/02/25/basaglia-eterno-soccorritore-merini/
La scommessa sull'uomo stesso: ci sono dei limiti, io ne sono pieno, ne sono definito, ma... se fosse proprio quella la pista di decollo per un nuovo volo....magari anche senza ali? Si tratta di osare: scommettere sull'uomo cioè sul limite stesso.
SARA' UN CASO? IO NON CREDO!
Mentre queste e altre domande si affollano in noi cominciano ad accadere strani fatti, che emergono come dati di realtà nel lavoro ma anche come "strane coincidenze" che iniziano a mostrarci dei legami tra questi 6 artisti.
E le coincidenze a volte sono "inquietanti": Carlo lavora su un vecchio comodino di scena, per prepararlo per l'allestimento scenografico. Apre lo stipetto del comodino e toglie la carta che ricopre internamente lo sportello: ed ecco emergere da sotto la carta un vecchio disegno di...una finestra. Poche settimane prima avevamo impostato la prima scena dello spettacolo, in cui protagonista è proprio una finestra.
Le cose accadute sono talmente tante e inspiegabili che non resta che arrendersi ad esse, come si fa davanti ad un accadimento "eccedente": studiando le opere e le vite degli artisti leggiamo di come Yves Klein, devoto a Santa Rita da Cascia, spesso si soffermava a meditare alla finestra della sua palestra di judo. 30 anni dopo la sua morte in quel punto è stata costruita una cappella per Santa Rita e la sia statua si trova proprio di fronte alla finestra. Per il legame tra Yves e Santa Rita si veda:
http://piantatastorta.altervista.org/lex-voto-per-santa-rita-da-cascia-di-yves-klein/
Leggiamo di come Lucio Fontana comprò nel 1957 una tela monocroma blu di Yves Klein, diventando uno dei suoi più grandi collezionisti.
Apprendiamo che Yves Klein è cintura nera 6°DAN di Karate e poi Sensei (maestro di karate), come lo fu Enzo Jannacci (che poi divenne anche judoka, ma partì dalla pratica del karate).
E facendo una lezione di judo (nella quale vengo schienata da un 6oenne gracile e più basso di me) apprendo che la parola JU-DO significa "via della cedevolezza" e che la parola "DO" in oriente equivale a DUENDE in Occidente.
Apprendo anche in quell'occasione che devo studiare più a fondo il Judo, per imparare anche io la cedevolezza: perchè come dice il Piccolo Principe, "quando un mistero è così sovraccarico, non si osa disubbidire".
L'elenco delle "coincidenze" potrebbe continuare a lungo: ma da adesso in avanti è Jung a venirci incontro con uno studio proprio su questo aspetto dell'esperienza di vita di ciascuno, a cui cose si sovrappongono cose con una precisione millimetrica secondo nessi ACAUSALI: si chiamano "Sincronicità". E le sincronicità sono parte della prassi di cura della malattia mentale. Interessante...
SAGGIO SUL CONCETTO DI SINCRONICITA' SECONDO JUNG.pdf |
CEDERE O NON CEDERE QUESTO E' IL DILEMMA!
Basta, bisogna solo cedere a qualcosa di più grande che c'è già e che non posso comprendere: come il cielo?
Sì.
E dove sta il cielo?
Ovunque, persino nel buio sotto la pelle. (CIT: "Il cielo" di Wislawa)
E allora cominciamo tutti noi, della squadra SENZA ALI, a cedere alle congruenze, alle incongruenze, alla vastità del materiale e della materia che ci troviamo dinnanzi.
E si deve cedere ad ogni livello per non cadere nel già detto e nello spiegato affrontando la lotta che porta il Duende.
Carlo dovrà cedere al fatto di dover portare un testo con livelli alti e che si intrecciano e che lui stesso fatica a comprendere con la ragione: la poesia di Wislawa non è comprensibile con i mezzi della logica e della ragione, figurarsi quella di Alda!
E dovrà cedere anche nella recitazione: il testo nella sua complessità richiede un personaggio "altro" e un attore "altro". E io, mentre vado avanti a scrivere, imposto con lui un training d'attore che lo faccia "perdere", che gli consenta di smarrirsi in parole sconosciute senza avere appigli.
Poi però gli appigli vanno trovati: da regista devo consentire a Carlo di crearsi un percorso interno, fatto di azioni fisiche, che lo guidino nella narrazione saltando di qua e di là ma mantenendo la centratura. Carlo ha un fisico possente e agile e da bravo musicista quale lui è conosce la partitura come metodo di lavoro. Carlo cede e si fida: grazie a sessioni di training con esercizi fisici e mentali, attraverso tecniche desunte dal teatro dell'oppresso, del metodo Strasberg e altri ci perdiamo insieme, tra salti, capriole, svolazzi non solo fisici ma anche concettuali. A volte Carlo mi domanda: "Ma questa cosa come la faccio?". E io: "Non lo so". Immaginatevi la sua faccia e la mia. Persi.
Ad un certo punto il personaggio Angelo deve essere costruito e definito: stilo delle domande e faccio dei piccoli interrogatori a Carlo. Ci immergiamo nel viale dei ricordi della sua infanzia (quasi una seduta di psicanalisi) e troviamo una maschera che possa indossare per portare tutto questo. E' Ghibli! Un suo caro amico di infanzia che possiede molte caratteristiche diciamo...interessanti.
Carlo è un bravo attore e mi rende fiera la sua fiducia nel mio metodo, che pian pianino risulta efficace.
La partitura è fatta di istanti di narrazione, uno diverso dall'altro ma concatenati da azioni e pensieri. Mi faccio guidare dalla poesia "Vita all'istante" di Wislawa, che nell'attimo, nel piccolo, nel particolare scova l'universale. Come l'artista, che cerca un'incarnazione nelle sue opere, un'incarnazione della perfezione in ogni istante.
HIC ET NUNC, QUI E ORA è la sola possibilità.
Fare teatro (vivere) è cedere al miracolo incerto dell'istante e lasciarlo vivere attraverso il corpo dell'attore:
"Non conosco la parte che recito, so solo che è la mia. Sto sulla scena e vedo quanto è solida."
Basta, bisogna solo cedere a qualcosa di più grande che c'è già e che non posso comprendere: come il cielo?
Sì.
E dove sta il cielo?
Ovunque, persino nel buio sotto la pelle. (CIT: "Il cielo" di Wislawa)
E allora cominciamo tutti noi, della squadra SENZA ALI, a cedere alle congruenze, alle incongruenze, alla vastità del materiale e della materia che ci troviamo dinnanzi.
E si deve cedere ad ogni livello per non cadere nel già detto e nello spiegato affrontando la lotta che porta il Duende.
Carlo dovrà cedere al fatto di dover portare un testo con livelli alti e che si intrecciano e che lui stesso fatica a comprendere con la ragione: la poesia di Wislawa non è comprensibile con i mezzi della logica e della ragione, figurarsi quella di Alda!
E dovrà cedere anche nella recitazione: il testo nella sua complessità richiede un personaggio "altro" e un attore "altro". E io, mentre vado avanti a scrivere, imposto con lui un training d'attore che lo faccia "perdere", che gli consenta di smarrirsi in parole sconosciute senza avere appigli.
Poi però gli appigli vanno trovati: da regista devo consentire a Carlo di crearsi un percorso interno, fatto di azioni fisiche, che lo guidino nella narrazione saltando di qua e di là ma mantenendo la centratura. Carlo ha un fisico possente e agile e da bravo musicista quale lui è conosce la partitura come metodo di lavoro. Carlo cede e si fida: grazie a sessioni di training con esercizi fisici e mentali, attraverso tecniche desunte dal teatro dell'oppresso, del metodo Strasberg e altri ci perdiamo insieme, tra salti, capriole, svolazzi non solo fisici ma anche concettuali. A volte Carlo mi domanda: "Ma questa cosa come la faccio?". E io: "Non lo so". Immaginatevi la sua faccia e la mia. Persi.
Ad un certo punto il personaggio Angelo deve essere costruito e definito: stilo delle domande e faccio dei piccoli interrogatori a Carlo. Ci immergiamo nel viale dei ricordi della sua infanzia (quasi una seduta di psicanalisi) e troviamo una maschera che possa indossare per portare tutto questo. E' Ghibli! Un suo caro amico di infanzia che possiede molte caratteristiche diciamo...interessanti.
Carlo è un bravo attore e mi rende fiera la sua fiducia nel mio metodo, che pian pianino risulta efficace.
La partitura è fatta di istanti di narrazione, uno diverso dall'altro ma concatenati da azioni e pensieri. Mi faccio guidare dalla poesia "Vita all'istante" di Wislawa, che nell'attimo, nel piccolo, nel particolare scova l'universale. Come l'artista, che cerca un'incarnazione nelle sue opere, un'incarnazione della perfezione in ogni istante.
HIC ET NUNC, QUI E ORA è la sola possibilità.
Fare teatro (vivere) è cedere al miracolo incerto dell'istante e lasciarlo vivere attraverso il corpo dell'attore:
"Non conosco la parte che recito, so solo che è la mia. Sto sulla scena e vedo quanto è solida."
UNA VITA ALL'ISTANTE.mp3 |
IL CIELO IN UNA STANZA?
No, il cielo è ovunque. Persino nel buio sotto la pelle. Anche nelle notti nere del manicomio, in una miniera, in una buia strada dove un giovane bassista muore dissanguato, nel taglio che buca la tela, in un tubetto di blu completamente nuovo. E' il cielo il comune denominatore tra i 6 custoditi. E' il cielo che sta in una cipolla come nel Paradiso dantesco, allo stesso modo, parimenti.
No, il cielo è ovunque. Persino nel buio sotto la pelle. Anche nelle notti nere del manicomio, in una miniera, in una buia strada dove un giovane bassista muore dissanguato, nel taglio che buca la tela, in un tubetto di blu completamente nuovo. E' il cielo il comune denominatore tra i 6 custoditi. E' il cielo che sta in una cipolla come nel Paradiso dantesco, allo stesso modo, parimenti.
Giorgio Gaber, Giotto e il cielo:
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E ogni artista cerca di gravitalizzare il cielo nelle sue opere, di portarne giù anche solo un pezzettino, perchè tutti possano gustare "un miracolo ad ogni istante".
LA FIERA DEI MIRACOLI.mp3 |
Il testo allora si trasforma in una riflessione generale sul ruolo dell'artista: e i custoditi non sono più 6, ma diventano 7!
Come dice Gaber: "Capire che non c'è niente da capire" è il nucleo di questo spettacolo.
Servire l'istante e coglierne il miracolo, rendendolo evidente a chi ci ascolta: l'arte per me serve a questo.
Il resto per me sono chiacchiere che lascio volentieri agli altri, che certamente meglio di me realizzano la loro vita.
Come dice Gaber: "Capire che non c'è niente da capire" è il nucleo di questo spettacolo.
Servire l'istante e coglierne il miracolo, rendendolo evidente a chi ci ascolta: l'arte per me serve a questo.
Il resto per me sono chiacchiere che lascio volentieri agli altri, che certamente meglio di me realizzano la loro vita.
C'E' CHI.mp3 |
DISCOGRAFIA MINIMA DEL PROGETTO:
- Giovanni Telegrafista - Enzo Jannacci
- Parlare con i limoni - Enzo Jannacci
- Anche per oggi non si vola - Giorgio Gaber e Sandro Luporini
- La leggerezza- Giorgio Gaber
- Se io fossi un angelo- Lucio Dalla
https://www.youtube.com/watch?v=licCJCSmWTI
03_la_leggerezza.mp3 |
le_orme_-_sguardo_verso_il_cielo.mp3 |
BIBLIOGRAFIA MINIMA DEL PROGETTO:
- La gioia di scrivere-Wislawa Szymborska
- Mistica d'amore - Alda Merini
- I fondamenti del Judo - Yves Klein
- Basta così - Wislawa Szymborska